E' ancora uno dei miti incontrastati del mondo delle due ruote, l'abbiamo ammirata, sognata e desiderata dagli anni '70 in poi, si "in poi.." perchè ancora oggi è tra le più ricercate dai collezionisti.
Una moto particolare che copri con le prestazioni il "furto" di primogenitura fatto dalla rivale Honda CB750 Four e la cosa si evidenziava già dalla scritta sui fianchetti laterali, dove, sotto la scritta 900, che dichiarava la cilindrata più alta mai raggiunta per le moderne maxi moto a quattro cilindri, c’era scritto “Double Overhead Camshaft”: Doppio Albero a Camme in Testa, una dicitura che suonava come una dichiarazione di superiorità rispetto al "resto"
Premessa
Nel 1966, per l'esigenza di proporre una moto, con propulsore 4 tempi da 750 cm³, che potesse contrastare il successo, particolarmente sul mercato statunitense, delle "maxi" inglesi Norton, BSA e Triumph, la Kawasaki si avventura in un nuovo progetto.
L'obiettivo era di realizzare una moto dalle caratteristiche nettamente superiori alla produzione della concorrenza, prendendo a modello la sofisticata architettura meccanica dei motori italiani da competizione delle Gilera 500 4C e MV Agusta 500 4C - diretti discendenti della geniale Rondine di Gianini e Remor - che, da tre decenni, mietevano vittorie sui circuiti di tutto il mondo.
La Kawasaki produceva motociclette da pochissimi anni e la poca esperienza acquisita sarebbe stata del tutto insufficiente per attuare un piano tanto ambizioso se non avesse potuto disporre del prezioso "know-how" tecnico dello staff di progettisti della Meguro, la più antica casa motociclistica giapponese, rilevata dalla Kawasaki nel 1960.
Il difficile compito venne affidato ai migliori tecnici della Meguro, affiancati da alcuni ingegneri provenienti dal settore aeronautico della Kawasaki e coordinati da Gyoichi Inamura, meglio conosciuto nel mondo delle due ruote con il soprannome di "Ben Mister Z1" o, più affettuosamente, di "Zio Ben".
I lavori procedettero con grande metodo, preceduti da uno studio approfondito dei modelli di riferimento e coperti da assoluta segretezza anche all'interno dell'azienda, tanto che per poter agevolmente identificare il progetto, era stato scelto il nome in codice di Nyūyōku sutēki ovvero "Bistecca di New York"?
La "bistecca di New York"
Tutto era stato previsto e calcolato nei più piccoli dettagli, tranne il fatto che la concorrente azienda giapponese Honda, contemporaneamente e con identica segretezza, aveva avuto e stava attuando la medesima idea.
Agli inizi del 1968 il progetto "Bistecca di New York" era in fase di avanzato sviluppo. I primi motori quadricilindrici da 750 cm³ giravano sui banchi di prova e si stava terminando il prototipo per il collaudo su strada, il che faceva presumere la presentazione del modello definitivo pre-serie nei primi mesi del 1969. La storia, però, registra il primato della Honda che, favorita dalla minore complessità del suo motore monoalbero, presentò la "CB 750 Four" al Tokyo Motor Show, nell'ottobre 1968, polarizzando l'attenzione della stampa specializzata e degli appassionati di tutto il mondo.
Pesantemente "defraudati" sul piano dell'immagine aziendale, avendo perso la possibilità di presentare per primi la propria quadricilindrica, i dirigenti della Kawasaki decisero di puntare momentaneamente sul modello "Mach III" con motore a due tempi, parallelamente sviluppato, e di procedere ad un completo rifacimento del motore a 4T, allo scopo di raggiungere tra gli iniziali obiettivi, ormai in buona parte sfumati, almeno la superiorità prestazionale. Tale dispendio di uomini e mezzi era possibile grazie alla enorme capacità economica aziendale, derivante dai primari settori navale e aereo.
La rivincita
Il lavoro ingegneristico intorno della "Bistecca" riprese a pieno ritmo, mentre lo studio della linea fu affidato alla "McFarland's Design" di New York.
All'inizio del 1970 vennero collaudati i prototipi dotati del nuovo quadricilindrico, maggiorato a 903 cm³, che mostrò subito la notevole potenza di 95 CV ed una velocità di 228 km/h, unitamente ad una certa fragilità strutturale. A malincuore, Inamura decise di depotenziare il motore, oltre a ridisegnare il basamento, irrobustire i pistoni e i cuscinetti di banco e riprogettare completamente l'impianto di lubrificazione.
Nel gennaio 1972 due "Kawasaki 900", abilmente camuffate da "Honda CB 750 Four", vennero spedite negli Stati Uniti per effettuare lunghi collaudi sulle assolate autostrade americane (quasi 22.000 km in due settimane) e partecipare ad alcune gare del circuito AMA. In verità vennero ritirate dalle competizioni ben presto, allo scopo di non destare troppo clamore, visto che nonostante l'assetto di serie, riuscirono a girare, in due occasioni, sotto il record della categoria "Stock Bike". I risultati dei collaudi vennero considerati particolarmente soddisfacenti.
Dopo aver completato i primi 29 esemplari pre-serie, nel mese di luglio, i vertici aziendali Kawasaki invitarono ad Akashi una ristretta cerchia internazionale di giornalisti del settore, per un preventivo contatto con il modello e, constatate le entusiastiche reazioni degli esperti, decisero di dare finalmente inizio alla produzione.
La neonata Kawasaki 900 Z1 venne ufficialmente presentata, nel settembre 1972, al Salone di Colonia. Il modello venne accolto da un immediato successo di critica e di pubblico e fu nel descrivere questo modello che la stampa specializzata coniò il neologismo "superbike", termine destinato ad essere adottato da molti idiomi.
Nonostante la mole imponente (per l'epoca) e il peso notevole, la moto beneficia di una linea snella ed accattivante, con finiture accurate, accessori di pregio e una verniciatura impeccabile. L'impostazione di guida, prettamente turistica, è sottolineata dalla spaziosa sella biposto e dall'ampio manubrio a "corna di bue" che facilita il controllo in manovra, anche con il passeggero.
Il motore a quattro tempi, quattro cilindri in linea con distribuzione a doppio albero a camme in testa, la cui similitudine esteriore con il propulsore MV Agusta è davvero notevole, si trova alloggiato in un telaio a doppia culla continua in tubi d'acciaio, irrobustito nella zona del canotto di sterzo e all'infulcramento del forcellone, con triangolature di rinforzo in lamiera stampata.
Le prestazioni sono di tutto rispetto e non avevano eguali nella produzione concorrente. La velocità effettiva (212 km/h) è ben superiore a quella dichiarata (200 km/h) e le doti di accelerazione non sembrano accusare gli oltre 250 kg, in ordine di marcia, del veicolo.
Contrariamente ai precedenti modelli con motore 2T, questa Kawasaki sfoggia anche discrete doti di stabilità, a volte inficiate dalla morbidezza delle sospensioni anteriori.
Occorre registrare, infine, una leggera tendenza al surriscaldamento dell'olio motore, in condizioni di prolungato utilizzo estremo.
Caratteristiche tecniche: motore 4 cilindri - 4T di 903 cc. con una potenza di 82 CV a 8500 giri - distribuzione bialbero comandato da catena centrale. Alimentazione con carburatori Mikuni VM da 28, cambio a 5 rapporti, frizione multidisco in bagno d'olio, peso a secco 230 kg. raggiungeva una velocità di 212 Km/h
Foto da Wikipedia
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